C'è una condizione, uno stato d'animo particolare, una way of feeling che da anni ormai mi accompagna ciclicamente e che non saprei descrivere in altro modo se non "sentirsi nella bolla".
Termine coniato dalla mia amica-sorella Elisabetta dopo un evento che ha cambiato per sempre le vite di tutti, "sentirsi nella bolla" significa sentirsi ovattati, alienati, stanchi, un po' tristi, un po' strani, un po' scomodi, un po' a metà via, un po' di traverso, un po' in ansia, un po' in debito di ossigeno, un po' sospesi, dondolanti, traballanti, che non stai bene nè in cielo, nè in terrà e in ogni luogo.
- Come stai?
- Sono nella bolla.
E tac. Un millesimo di secondo e capisci esattamente ogni sfumatura.
La bolla, amica delle anime in pena.
Ma anche delle anime in pane, che nonostante tutto la fame c'è sempre.
Di vita, di aria, di sentire gli amici vicini, di credere ancora in qualcosa, di briciole buone che danno sapore all'esistenza che scorre.
Bolla, amica di chi non si accontenta.
Piccole cose di un Calzino
11 giu 2016
4 gen 2016
Sui buoni propositi
Ci dev'essere un motivo per cui mi scordo sempre i buoni propositi che mi ero prefissata il 31 dicembre di ogni anno.
Arrivo a marzo, per esempio, e penso "oh cazzo, ma cos'è che dovevo fare? dimagrire? godere di più delle piccole cose? cercare di lamentarmi meno?".
Allora niente, i buoni propositi io li lascio nel cassetto con le calze e gli slip. Li tengo lì al caldino, sicura che siano gli stessi ogni anno, talmente radicati nella mia pancia da essere un tutt'uno con ciò che sono.
Io voglio sempre essere una persona migliore.
Io voglio sempre dimostrare a chi amo che per me è importante.
Io voglio sempre fare meglio sul lavoro, in famiglia.
Io voglio sempre perdere la cellulite sulle chiappe.
Io voglio sempre imparare cose nuove, non fermarmi, scuriosare, crescere, esplorare.
Io voglio sempre essere tutto questo e rimanere calzino. Calzino dentro. Calzino fuori, Calzino a metà via.
E' il 4 gennaio.
Ho le mani fredde e il cervello che bolle.
Incrocio le dita e spero che sia un anno pieno, grasso, strabordante, sincero.
Io, le mie parole (scrivere di più!), i miei progetti ubriachi, i miei figli, le mie paure, i miei pensieri futili e belli.
Arrivo a marzo, per esempio, e penso "oh cazzo, ma cos'è che dovevo fare? dimagrire? godere di più delle piccole cose? cercare di lamentarmi meno?".
Allora niente, i buoni propositi io li lascio nel cassetto con le calze e gli slip. Li tengo lì al caldino, sicura che siano gli stessi ogni anno, talmente radicati nella mia pancia da essere un tutt'uno con ciò che sono.
Io voglio sempre essere una persona migliore.
Io voglio sempre dimostrare a chi amo che per me è importante.
Io voglio sempre fare meglio sul lavoro, in famiglia.
Io voglio sempre perdere la cellulite sulle chiappe.
Io voglio sempre imparare cose nuove, non fermarmi, scuriosare, crescere, esplorare.
Io voglio sempre essere tutto questo e rimanere calzino. Calzino dentro. Calzino fuori, Calzino a metà via.
E' il 4 gennaio.
Ho le mani fredde e il cervello che bolle.
Incrocio le dita e spero che sia un anno pieno, grasso, strabordante, sincero.
Io, le mie parole (scrivere di più!), i miei progetti ubriachi, i miei figli, le mie paure, i miei pensieri futili e belli.
12 nov 2015
Stavo pensando a Lenny Kravitz?
Ma quando ho deciso di candidarmi come rappresentante di sezione alla scuola materna di mio figlio, a cosa pensavo di preciso? A Lenny Kravitz? Cioè, tipo, pensavo che avrebbe fatto lui il moderatore alle riunioni? O che magari sarebbe stato il bidello con cui chiudersi un attimo in bagno a fare la rendicontazione della carta igienica? Può essere. No perchè la mia è stata una candidatura spontanea - addirittura - e le maestre erano talmente stupite che ho visto dai loro visi staccarsi un brandello di mascella per lo stupore.
A cosa stavo pensando?
Forse che è giusto impegnarsi, esserci, dare il proprio contributo, aiutare questo sistema di merda che tra un po' ci travolgerà tutti quanti. Mi fa onore, me lo dico da sola.
Però. Non avevo messo in conto che alle maestre sarebbero cadute le mascelle per lo stupore e a me il fegato per la gestione di tutte le mamme, dei soldi, delle dinamiche, delle polemiche, domande, incazzature, congetture, sbraitamenti.
Oh Lenny, io ti aspetto eh. Che magari la carta igienica la portiamo da casa e ti aiuto a fare un approfondito controllo qualità confezione per confezione.
Calzino, madre coraggio.
A cosa stavo pensando?
Forse che è giusto impegnarsi, esserci, dare il proprio contributo, aiutare questo sistema di merda che tra un po' ci travolgerà tutti quanti. Mi fa onore, me lo dico da sola.
Però. Non avevo messo in conto che alle maestre sarebbero cadute le mascelle per lo stupore e a me il fegato per la gestione di tutte le mamme, dei soldi, delle dinamiche, delle polemiche, domande, incazzature, congetture, sbraitamenti.
Oh Lenny, io ti aspetto eh. Che magari la carta igienica la portiamo da casa e ti aiuto a fare un approfondito controllo qualità confezione per confezione.
Calzino, madre coraggio.
18 giu 2015
Cose dentro
Cresci così velocemente, bimbo mio, che questo 28 aprile sembra già incastonato in un'era lontana.
Ma ci sono cose, dentro, che si sono fissate come colla d'avorio. Diapositive che sbiadiranno un poco, è vero, ma che comunque rimarranno accese dentro agli occhi fino alla fine di ciò che sono e che sarò. Le vedo e le sento come fossero vive. Sono vive.
La mano dell'anestesista che tiene le mie dita strette strette e accarezza la mia fronte; i suoi occhi che mi guardano e mi fanno sentire in una culla. La sua voce ridente, le sue parole inutili quanto vitali. Grazie, Ilaria.
La mano del chirurgo, angelo mio che di nome fa Stefania, che parla e descrive ogni passaggio alla ragazza giovane che sta imparando. Un tono fermo, tranquillo, diecimila sfumature dell'arcobaleno.
Il mio respiro che si fa corto e freddo. La paura, la frenesia, l'impazienza, la felicità solo un po' oscurata, come un secondo d'eclissi solare.
Il tuo corpicino con le braccia spalancate che viene alzato sopra al telo celeste che ci divide. "Ecco Giulio!"
Ecco Giulio. Ecco queste due lacrime grosse come pompelmi. Ecco il mio cuore che per un attimo si ferma e torna a battere col tuo. Sono fregata, un'altra volta. Fai di me quello che ti pare, figlio mio.
Hai le mani aperte, gli occhi arrabbiati e chiusi, sembri abbronzato, sei bellissimo con tutte quelle rughe.
La tua bocca che si attacca al mio seno come se l'avesse sempre fatto. Ciucci forte, mamma come ciucci. Mi viene da sorridere. E poi il tuo corpicino nudo nudo come un vermetto nella terra, pieno di pelo scuro e soffice. Una scimmietta su di me. Ci facciamo caldo a vicenda, siamo un forno perfetto, Giulio mio.
Il corridoio del reparto, nel cuore della notte. Quella luce azzurra, i lamenti della mia compagna di stanza, sfinita da un allattamento difficile. Tu che ti appallottoli contro di me fino a diventare piccolo come un riccio. Sei rosso e scuro, gli occhi sempre chiusi. Sudiamo un po', poi crolliamo di stanchezza e ci risvegliamo. Poi crolliamo ancora e balliamo nuovamente, con il ritmo di due danzatori che si stanno conoscendo per la prima volta.
Il primo contatto con tuo fratello, che ora, per sempre, sarà parte di te.
"Mamma, ha le orecchie piccole". Ecco come si presenta Pietro. Ti guarda le orecchie stupito, ti sfiora i piedi e incolla il naso alla culla trasparente.
Io vi osservo, il cuore è un trapezista ubriaco, sento che tutto il mondo e i mari e gli oceani e i granelli di terra sono chiusi qui, al sesto piano della mia incredibile felicità.
Ma ci sono cose, dentro, che si sono fissate come colla d'avorio. Diapositive che sbiadiranno un poco, è vero, ma che comunque rimarranno accese dentro agli occhi fino alla fine di ciò che sono e che sarò. Le vedo e le sento come fossero vive. Sono vive.
La mano dell'anestesista che tiene le mie dita strette strette e accarezza la mia fronte; i suoi occhi che mi guardano e mi fanno sentire in una culla. La sua voce ridente, le sue parole inutili quanto vitali. Grazie, Ilaria.
La mano del chirurgo, angelo mio che di nome fa Stefania, che parla e descrive ogni passaggio alla ragazza giovane che sta imparando. Un tono fermo, tranquillo, diecimila sfumature dell'arcobaleno.
Il mio respiro che si fa corto e freddo. La paura, la frenesia, l'impazienza, la felicità solo un po' oscurata, come un secondo d'eclissi solare.
Il tuo corpicino con le braccia spalancate che viene alzato sopra al telo celeste che ci divide. "Ecco Giulio!"
Ecco Giulio. Ecco queste due lacrime grosse come pompelmi. Ecco il mio cuore che per un attimo si ferma e torna a battere col tuo. Sono fregata, un'altra volta. Fai di me quello che ti pare, figlio mio.
Hai le mani aperte, gli occhi arrabbiati e chiusi, sembri abbronzato, sei bellissimo con tutte quelle rughe.
La tua bocca che si attacca al mio seno come se l'avesse sempre fatto. Ciucci forte, mamma come ciucci. Mi viene da sorridere. E poi il tuo corpicino nudo nudo come un vermetto nella terra, pieno di pelo scuro e soffice. Una scimmietta su di me. Ci facciamo caldo a vicenda, siamo un forno perfetto, Giulio mio.
Il corridoio del reparto, nel cuore della notte. Quella luce azzurra, i lamenti della mia compagna di stanza, sfinita da un allattamento difficile. Tu che ti appallottoli contro di me fino a diventare piccolo come un riccio. Sei rosso e scuro, gli occhi sempre chiusi. Sudiamo un po', poi crolliamo di stanchezza e ci risvegliamo. Poi crolliamo ancora e balliamo nuovamente, con il ritmo di due danzatori che si stanno conoscendo per la prima volta.
Il primo contatto con tuo fratello, che ora, per sempre, sarà parte di te.
"Mamma, ha le orecchie piccole". Ecco come si presenta Pietro. Ti guarda le orecchie stupito, ti sfiora i piedi e incolla il naso alla culla trasparente.
Io vi osservo, il cuore è un trapezista ubriaco, sento che tutto il mondo e i mari e gli oceani e i granelli di terra sono chiusi qui, al sesto piano della mia incredibile felicità.
18 feb 2015
Circus
Lo so, ho fatto una cosa che va contro alle mie idee.
Ma per far sorridere mio figlio, cosa non farei. Eh.
Lo abbiamo portato al circo. Un circo tutto rosso, grande ma non troppo, con le poltroncine nuove e il profumo di pop corn mescolato a quello della cacca di animale. Un caldo soffocante, i clown con gli angoli della bocca sempre un po' all'ingiù, la giraffa, i coccodrilli e un leone con la pancia piena di carne fresca. I pony, la contorsionista col costumino a brillantini, gli aiutanti a pulire la pista freneticamente ad ogni cambio di gag, i lama, la tigre (era senza dubbio Shere Khan!).
Poi gli occhi di Pietro, grandi come la luna piena, sgranati come piselli appena sgusciati dal baccello, le manine sulle gambe del nonno, le parole che non escono dalla bocca spalancata, il dito che indica e le gambette immobili e concentrate.
Io piangevo, in silenzio, forte forte forte.
Ma per far sorridere mio figlio, cosa non farei. Eh.
Lo abbiamo portato al circo. Un circo tutto rosso, grande ma non troppo, con le poltroncine nuove e il profumo di pop corn mescolato a quello della cacca di animale. Un caldo soffocante, i clown con gli angoli della bocca sempre un po' all'ingiù, la giraffa, i coccodrilli e un leone con la pancia piena di carne fresca. I pony, la contorsionista col costumino a brillantini, gli aiutanti a pulire la pista freneticamente ad ogni cambio di gag, i lama, la tigre (era senza dubbio Shere Khan!).
Poi gli occhi di Pietro, grandi come la luna piena, sgranati come piselli appena sgusciati dal baccello, le manine sulle gambe del nonno, le parole che non escono dalla bocca spalancata, il dito che indica e le gambette immobili e concentrate.
Io piangevo, in silenzio, forte forte forte.
7 gen 2015
La Moschea e l'ignoranza
(NOTA: questo post è stato scritto qualche ora prima della terribile tragedia avvenuta a Parigi presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Ovviamente non cambierei una virgola di quello che ho scritto. Purtroppo, invece, sappiamo benissimo che episodi ignobili e tragici come questo continueranno a fomentare le braci dell'odio nei confronti dei musulmani. E, davvero, io ci perdo il sonno.)
Al paesello dove vivo, nell'intestino più profondo della più pianeggiante Emilia Romagna, il consiglio comunale ha votato favorevolmente alla costruzione di una moschea. Il comune fornisce il terreno, la comunità islamica provvederà autonomamente a tutto il resto. Tutto il resto.
Che bello, che democrazia, che giustizia, ho pensato. Nessun dubbio, nessun tentennamento, nessuna ombra nel mio cervello e nei miei pensieri.
E' un atto di grande rispetto per centinaia, o forse migliaia, di miei concittadini che semplicemente provengono da altri paesi, non mangiano carne di maiale e professano un altro credo religioso. Io oltre a questo, lo giuro, non vedo null'altro.
Apriti cielo.
Il finimondo. Io non vi dico cosa si è scatenato al paesello.
Persone che la domenica vanno in chiesa e il lunedì scrivono sulla pagina facebook del Comune delle atrocità così grandi che non me le ricordo nemmeno, credo di averle rimosse, tanta è stata la sofferenza che ho provato. Parlare di razzismo è riduttivo. Bisognerebbe coniare una nuova parola per descrivere l'atteggiamento di queste persone ignoranti e piccole. Piccole piccole piccole.
"Mandiamoli a casa, puzzano, faranno un attentato, non si meritano di respirare, dobbiamo lottare ed ucciderli, stanno invadendo i nostri spazi, tra dieci anni ci ruberanno tutto, dovremo istituire il coprifuoco per salvare i nostri bambini, la Moschea attirerà gli adepti dell'Isis e moriremo tutti..." Cose così, ma anche molto molto molto più cattive (per la cronaca, ci ha messo bocca pure quella cima di Matteo Salvini).
Ho 34 anni e la comunità straniera nel mio paese non ha mai creato problemi di alcun genere. Stupri, rapine, furti. NIENTE.
Diamo loro semplicemente la possibilità di pregare in un luogo idoneo, dove il cuore non si spalanca a Gesù ma a Maometto. Basta.
Io altre ragioni non voglio sentirle, sono giorni che un po' mi vergogno di essere compaesana di certi cuori che al posto del sangue sembrano avere del letame. Ma poi neanche, che dal letame nascono i fiori... da lì, invece, nemmeno i piscialetto.
Al paesello dove vivo, nell'intestino più profondo della più pianeggiante Emilia Romagna, il consiglio comunale ha votato favorevolmente alla costruzione di una moschea. Il comune fornisce il terreno, la comunità islamica provvederà autonomamente a tutto il resto. Tutto il resto.
Che bello, che democrazia, che giustizia, ho pensato. Nessun dubbio, nessun tentennamento, nessuna ombra nel mio cervello e nei miei pensieri.
E' un atto di grande rispetto per centinaia, o forse migliaia, di miei concittadini che semplicemente provengono da altri paesi, non mangiano carne di maiale e professano un altro credo religioso. Io oltre a questo, lo giuro, non vedo null'altro.
Apriti cielo.
Il finimondo. Io non vi dico cosa si è scatenato al paesello.
Persone che la domenica vanno in chiesa e il lunedì scrivono sulla pagina facebook del Comune delle atrocità così grandi che non me le ricordo nemmeno, credo di averle rimosse, tanta è stata la sofferenza che ho provato. Parlare di razzismo è riduttivo. Bisognerebbe coniare una nuova parola per descrivere l'atteggiamento di queste persone ignoranti e piccole. Piccole piccole piccole.
"Mandiamoli a casa, puzzano, faranno un attentato, non si meritano di respirare, dobbiamo lottare ed ucciderli, stanno invadendo i nostri spazi, tra dieci anni ci ruberanno tutto, dovremo istituire il coprifuoco per salvare i nostri bambini, la Moschea attirerà gli adepti dell'Isis e moriremo tutti..." Cose così, ma anche molto molto molto più cattive (per la cronaca, ci ha messo bocca pure quella cima di Matteo Salvini).
Ho 34 anni e la comunità straniera nel mio paese non ha mai creato problemi di alcun genere. Stupri, rapine, furti. NIENTE.
Diamo loro semplicemente la possibilità di pregare in un luogo idoneo, dove il cuore non si spalanca a Gesù ma a Maometto. Basta.
Io altre ragioni non voglio sentirle, sono giorni che un po' mi vergogno di essere compaesana di certi cuori che al posto del sangue sembrano avere del letame. Ma poi neanche, che dal letame nascono i fiori... da lì, invece, nemmeno i piscialetto.
28 dic 2014
Voci
Mi bastano pochi minuti, anche un ritaglio di tempo tra la stoffa intrecciata di una giornata schizofrenica.
Youtube, veloce veloce, il volume tirato su su su, e la ricerca di una voce tra quelle del mio cuore.
Oggi è toccato a Jeff Buckley e a quelle sue corde che riesco solo a paragonare ad un'onda leggera e piccola e infinitamente lunga e sinuosa.
Mi cambia la giornata, il respiro diventa di carta velina, le gambe molli come pane nel latte.
Io benedico queste voci che sembrano nate per posarci fiori nel cuore.
Youtube, veloce veloce, il volume tirato su su su, e la ricerca di una voce tra quelle del mio cuore.
Oggi è toccato a Jeff Buckley e a quelle sue corde che riesco solo a paragonare ad un'onda leggera e piccola e infinitamente lunga e sinuosa.
Mi cambia la giornata, il respiro diventa di carta velina, le gambe molli come pane nel latte.
Io benedico queste voci che sembrano nate per posarci fiori nel cuore.
19 dic 2014
Taglia i fili dei palloncini
Dice la psicoterapeuta: taglia i fili dei palloncini che da troppo tempo tieni stretti nelle mani.
Basta un paio di forbici buone e mani felici di utilizzarle: tagli i fili, e quei pensieri che ti galleggiano nella testa se ne andranno così in alto da non riuscire più a vederli. Sono stati tuoi, non lo saranno più.
Che bella immagine. Un mucchio di palloni tra le mani che decidi di liberare nell'aria fredda di dicembre. Basta un gesto e quel filo che sembrava di piombo diventa di burro. Appiccicoso ma tenero. Leggero.
Più ci penso e più è così. Taglia i fili dei palloncini, falli scoppiare quando saranno così lontani da non poterli più scorgere. Sentirai che il petto si farà più trasparente.
C'è bisogno di abbandonare un po' di roba ammuffita e stantìa.
Sarà facile?
Basta un paio di forbici buone e mani felici di utilizzarle: tagli i fili, e quei pensieri che ti galleggiano nella testa se ne andranno così in alto da non riuscire più a vederli. Sono stati tuoi, non lo saranno più.
Che bella immagine. Un mucchio di palloni tra le mani che decidi di liberare nell'aria fredda di dicembre. Basta un gesto e quel filo che sembrava di piombo diventa di burro. Appiccicoso ma tenero. Leggero.
Più ci penso e più è così. Taglia i fili dei palloncini, falli scoppiare quando saranno così lontani da non poterli più scorgere. Sentirai che il petto si farà più trasparente.
C'è bisogno di abbandonare un po' di roba ammuffita e stantìa.
Sarà facile?
4 dic 2014
Discernere
Discernere. Un verbo che non uso mai e che per assonanza mi ricorda le viscere. Viscere con le quali spesso ragiono, dimenticando che servirsi della razionalità sarebbe molto più intelligente, tante volte.
Ciò che vorrei imparare a discernere, adesso, sono i sentimenti dal mondo del lavoro.
Non affezionarsi più a nessun collega. Non aiutare più nessuno, non ascoltare più nessuno, non provare più empatia per nessuno. Lavorare, fare il proprio dovere e chiudere tutto il resto all'altezza della cistifellea, in un angolino ben nascosto e difficile da raggiungere.
Io voglio diventare di pietra con chi non se lo merita.
Io ci sono prima di tutto il resto. Io. Io, io, io.
Tu, fa lo stesso.
Adesso guardo su Google se organizzano dei corsi di discernimento per calzini.
Ciò che vorrei imparare a discernere, adesso, sono i sentimenti dal mondo del lavoro.
Non affezionarsi più a nessun collega. Non aiutare più nessuno, non ascoltare più nessuno, non provare più empatia per nessuno. Lavorare, fare il proprio dovere e chiudere tutto il resto all'altezza della cistifellea, in un angolino ben nascosto e difficile da raggiungere.
Io voglio diventare di pietra con chi non se lo merita.
Io ci sono prima di tutto il resto. Io. Io, io, io.
Tu, fa lo stesso.
Adesso guardo su Google se organizzano dei corsi di discernimento per calzini.
19 nov 2014
Ci sono, ci sono!
Ma che carini che siete!
Sto bene, ci sono, solo un po' rallentata dalla cova di un nuovo mini calzino nella pancia, che, se tutto va bene, arriverà con le prime gemme di primavera. Evviva!
In questi mesi mi sono ribaltata dalla nausea, ho lavorato tanto, ho pianto ancor di più, ho corso come un cammello nel deserto, una trottola ubriaca.
E mille, giuro - mille - volte, ho partorito nella mente bellissimi post da lasciare qui.
Per esempio quello dei bimbi che facevano il mercatino delle pulci alla sagra di paese. Ve ne devo parlare. Erano belli e profumati, e avevano gli occhi luccicosi quando mi sono avvicinata per comprare una macchinina tutta blu. Dopo la mancia poi, uno di loro avrebbe voluto abbracciarmi.
Eccomi, quindi. Stanca e in attesa, felice e provata.
Mi mancate tutti, ogni tanto vi leggo e penso che ognuno di voi qualcosa mi ha lasciato e continua a lasciarmi, nella testa, nei polmoni e nel cuore.
Sto bene, ci sono, solo un po' rallentata dalla cova di un nuovo mini calzino nella pancia, che, se tutto va bene, arriverà con le prime gemme di primavera. Evviva!
In questi mesi mi sono ribaltata dalla nausea, ho lavorato tanto, ho pianto ancor di più, ho corso come un cammello nel deserto, una trottola ubriaca.
E mille, giuro - mille - volte, ho partorito nella mente bellissimi post da lasciare qui.
Per esempio quello dei bimbi che facevano il mercatino delle pulci alla sagra di paese. Ve ne devo parlare. Erano belli e profumati, e avevano gli occhi luccicosi quando mi sono avvicinata per comprare una macchinina tutta blu. Dopo la mancia poi, uno di loro avrebbe voluto abbracciarmi.
Eccomi, quindi. Stanca e in attesa, felice e provata.
Mi mancate tutti, ogni tanto vi leggo e penso che ognuno di voi qualcosa mi ha lasciato e continua a lasciarmi, nella testa, nei polmoni e nel cuore.
25 ago 2014
L'ufficio dopo l'isola
Fisso lo schermo, riscrivo le mail almeno 8 volte, mi sembra di avere delle pantegane nel cervello.
L'ufficio dopo l'isola è la morte della natura umana.
Che positività, oggi! Medito piani di fuga almeno otto volte al secondo.
L'ufficio dopo l'isola è la morte della natura umana.
Che positività, oggi! Medito piani di fuga almeno otto volte al secondo.
24 lug 2014
Always say something less
Dì sempre qualcosa in meno.
Che sforzo, per un Calzino come me, mandare giù le parole per chiuderle nella pancia senza farle uscire. Che sforzo, per un Calzino come me, che indossa questo nome proprio a causa della sua eccessiva spontaneità. Dire qualcosa in meno, ma come si fa?
Tutto nasce tanti anni fa, ormai. Era una serata tiepida e serafica, avevo una birra fredda in mano e stavo straparlando come al solito. La mia amica E. inizia ad urlare “calzinooooo, chiudetele la bocca con un calzinoooo”. Da lì sono diventata Calzino o Calzi o Calzetta, comunque un essere umano senza filtri tra bocca e cervello. Spontanea, vera, genuina, buona ma non buonissima, però io, sempre.
E niente, invece. Ho capito che bisogna sapersi fermare un attimo prima.
Che se dimostri l’affetto con le parole e ti chiedo come stai riguardo a quella questione spinosa di cui tu non parli mai, bè è un guaio. Allora mi fermo un attimo prima e non ti chiedo nulla. Stringo e impacchetto tutto nel cuore e non ti dimostro che ti penso e sono preoccupata, e vorrei abbracciarti e magari prego la notte perché tutto si risolva. Non ti chiedo nulla perché poi se ti chiedo qualcosa chissà quali meccanismi innesco, e pensi che sono inopportuna. E invece no, io ti penso per davvero e magari piango anche, sai?
Che se faccio una battuta perché siamo amici da una vita e ti amo, ma tanto, e tu lo sai che è una battuta perché mi conosci, bè, va a finire che tu riporti il mio scherzo a quello, che lo riporta a quell’altro, e poi salta fuori che sono fuori luogo e magari anche un po’ stronza.
Che se ho voglia di aiutarti perché hai un disagio, poi magari mi sfugge una delle altre ottomila variabili in gioco e c’è qualcuno che si offende, sempre.
Che se voglio raccontarti come mi sento in questo momento, non posso colorire i miei stati d’animo come mi verrebbe da fare, perché poi mi sento dire che sono esagerata e mi lamento per un sacco di cose inutili. Oh, ma io ho le mie battaglie personali da combattere. Non è perché se sorrido, allora sono la regina dei fiori. Concedete un po’ di grigio anche a me.
Credo che gli ultimi tempi mi stiano togliendo la spontaneità che mi ha sempre caratterizzato.
“Perché tu hai gli occhi che parlano”, dice sempre mio padre.
Evidentemente anche loro, d'ora in poi, dovranno scegliere un po’ più spesso la strada del silenzio.
Li benderò con un po' di malinconia e una manciata di lacrime dorate.
Che sforzo, per un Calzino come me, mandare giù le parole per chiuderle nella pancia senza farle uscire. Che sforzo, per un Calzino come me, che indossa questo nome proprio a causa della sua eccessiva spontaneità. Dire qualcosa in meno, ma come si fa?
Tutto nasce tanti anni fa, ormai. Era una serata tiepida e serafica, avevo una birra fredda in mano e stavo straparlando come al solito. La mia amica E. inizia ad urlare “calzinooooo, chiudetele la bocca con un calzinoooo”. Da lì sono diventata Calzino o Calzi o Calzetta, comunque un essere umano senza filtri tra bocca e cervello. Spontanea, vera, genuina, buona ma non buonissima, però io, sempre.
E niente, invece. Ho capito che bisogna sapersi fermare un attimo prima.
Che se dimostri l’affetto con le parole e ti chiedo come stai riguardo a quella questione spinosa di cui tu non parli mai, bè è un guaio. Allora mi fermo un attimo prima e non ti chiedo nulla. Stringo e impacchetto tutto nel cuore e non ti dimostro che ti penso e sono preoccupata, e vorrei abbracciarti e magari prego la notte perché tutto si risolva. Non ti chiedo nulla perché poi se ti chiedo qualcosa chissà quali meccanismi innesco, e pensi che sono inopportuna. E invece no, io ti penso per davvero e magari piango anche, sai?
Che se faccio una battuta perché siamo amici da una vita e ti amo, ma tanto, e tu lo sai che è una battuta perché mi conosci, bè, va a finire che tu riporti il mio scherzo a quello, che lo riporta a quell’altro, e poi salta fuori che sono fuori luogo e magari anche un po’ stronza.
Che se ho voglia di aiutarti perché hai un disagio, poi magari mi sfugge una delle altre ottomila variabili in gioco e c’è qualcuno che si offende, sempre.
Che se voglio raccontarti come mi sento in questo momento, non posso colorire i miei stati d’animo come mi verrebbe da fare, perché poi mi sento dire che sono esagerata e mi lamento per un sacco di cose inutili. Oh, ma io ho le mie battaglie personali da combattere. Non è perché se sorrido, allora sono la regina dei fiori. Concedete un po’ di grigio anche a me.
Credo che gli ultimi tempi mi stiano togliendo la spontaneità che mi ha sempre caratterizzato.
“Perché tu hai gli occhi che parlano”, dice sempre mio padre.
Evidentemente anche loro, d'ora in poi, dovranno scegliere un po’ più spesso la strada del silenzio.
Li benderò con un po' di malinconia e una manciata di lacrime dorate.
11 lug 2014
Gaza
Non riesco a non pensarci. Non mi scivolano più via certe immagini. Fissate per sempre.
Sto ristudiando tutta la storia, le guerre e gli scontri ormai non si contano più, perdo i pezzi, faccio confusione.
La rete è piena di foto, di bambini che spuntano dalle macerie, morti, scarpe insanguinate, fumo fuoco cemento ardente lacrime terrore.
Cosa si può fare da qui? Che senso ha stare qui e non fare niente?
Ho dato alla luce un bambino nella parte giusta del mondo. E chi ha partorito dalla parte sbagliata?
Chi lo ridà il sorriso a quella carne morbida di fanciullo che la vita sta rendendo di argilla secca? Chi rimette a posto le orecchie piccine, togliendo per sempre il rumore delle bombe?
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il.
Rumore.
Delle.
Bombe.
Abbiamo una vita sola. Una. Poi si muore.
Non è giusto. Non circola più sangue nel mio cuore.
Sto ristudiando tutta la storia, le guerre e gli scontri ormai non si contano più, perdo i pezzi, faccio confusione.
La rete è piena di foto, di bambini che spuntano dalle macerie, morti, scarpe insanguinate, fumo fuoco cemento ardente lacrime terrore.
Cosa si può fare da qui? Che senso ha stare qui e non fare niente?
Ho dato alla luce un bambino nella parte giusta del mondo. E chi ha partorito dalla parte sbagliata?
Chi lo ridà il sorriso a quella carne morbida di fanciullo che la vita sta rendendo di argilla secca? Chi rimette a posto le orecchie piccine, togliendo per sempre il rumore delle bombe?
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il rumore delle bombe.
Il.
Rumore.
Delle.
Bombe.
Abbiamo una vita sola. Una. Poi si muore.
Non è giusto. Non circola più sangue nel mio cuore.
25 giu 2014
Ansia amica mia
Non mi risponde al telefono:
è nel fosso
(se sta guidando)
è annegato (se
è al mare)
s’è
strozzato (se è a cena)
E’ da un po’ che non si fa sentire:
è arrabbiato (inviperito)
gli ho fatto
qualcosa di terribile (apocalittico)
sta
congiurando contro me ed i miei cari (ci ha fatto il malocchio)
Devo andare al mare:
oddio
pioverà tutto il tempo (fortissimo)
non riuscirò
mai a preparare tutto (userò le stesse mutande per una settimana)
verremo
mangiati dagli squali (bianchi)
Mi risponde in modo brusco ed evasivo:
Vedi punto 2
Ha qualche puntino rosso qua e là:
è rosolia (in forma pesante)
è varicella (avrà segni indelebili)
ha un male
incurabile (muore domani)
Diciamo che ho anche molti pregi.
La gestione dell'ansia, però, mi manca.
Quando guardo le persone che ne sono prive, mi si riempe il cuore di invidia distillata.
Quando guardo le persone che ne sono prive, mi si riempe il cuore di invidia distillata.
Fortunati voi leggeroni!
Rimedi?
23 giu 2014
Pearl Jam, San Siro, 20 giugno 2014.
E’ stato incredibile.
Riascolto su youtube l’attacco di Release, abbasso lo sguardo per un attimo e cerco di ripercorrere quei primi dieci secondi in cui le corde della chitarra iniziano a raccontarmi che si tratta proprio di quella canzone. Senti con cosa partiamo, adesso cado giù e la terra mi risucchia. Mi gira la testa, ma tantissimo, forse tra poco mi cedono le gambe. Le braccia iniziano a farmi male, i brividi le stanno rendendo di cemento. Non me ne accorgo ma iniziano a scendermi dei lacrimoni grandi e caldi giù per le guance e un po’ mi faccio tenerezza da sola: ho 34 anni e sto piangendo come un’adolescente per un concerto che sto aspettando da sempre. Mi aggrappo alla ringhiera per nascondere la testa. Non posso farci niente, sono sopraffatta dalla sua voce perfetta e lucida, da questo unico, incredibile, perfetto e grande coro che sale dallo stadio e arriva a sfiorare le nuvole. Siamo in più di sessantamila, ognuno con la sua vita, con le proprie battaglie da combattere, con il suo lavoro, i suoi figli, amanti, colleghi, nonni, fallimenti, cose belle. Però. Però adesso siamo una sola entità, più grande di quanto le parole possano raccontare. Siamo un’unica persona con un’unica grande bocca spalancata che canta I am myself, like you somehow. Si si, sono proprio come te, adesso, cantiamo con le stesse corde vocali, le mie urla sono il tuo sospiro. C’è una sola aorta che trasporta il nostro sangue, adesso.
Release me, release me.
E poi così, per tre ore.
Fermarsi un attimo e pensare che anche questo è il senso della nostra esistenza.
Se smettiamo di emozionarci per una canzone, abbiamo fallito.
E allora non so bene cosa dire.
Che è stato infinito, liberatorio, che ha attorcigliato le budella, spappolato il cuore, soffocato la voce.
Grazie ragazzi.
Insegnerò anche a mio figlio, in qualche modo, a volervi bene.
Riascolto su youtube l’attacco di Release, abbasso lo sguardo per un attimo e cerco di ripercorrere quei primi dieci secondi in cui le corde della chitarra iniziano a raccontarmi che si tratta proprio di quella canzone. Senti con cosa partiamo, adesso cado giù e la terra mi risucchia. Mi gira la testa, ma tantissimo, forse tra poco mi cedono le gambe. Le braccia iniziano a farmi male, i brividi le stanno rendendo di cemento. Non me ne accorgo ma iniziano a scendermi dei lacrimoni grandi e caldi giù per le guance e un po’ mi faccio tenerezza da sola: ho 34 anni e sto piangendo come un’adolescente per un concerto che sto aspettando da sempre. Mi aggrappo alla ringhiera per nascondere la testa. Non posso farci niente, sono sopraffatta dalla sua voce perfetta e lucida, da questo unico, incredibile, perfetto e grande coro che sale dallo stadio e arriva a sfiorare le nuvole. Siamo in più di sessantamila, ognuno con la sua vita, con le proprie battaglie da combattere, con il suo lavoro, i suoi figli, amanti, colleghi, nonni, fallimenti, cose belle. Però. Però adesso siamo una sola entità, più grande di quanto le parole possano raccontare. Siamo un’unica persona con un’unica grande bocca spalancata che canta I am myself, like you somehow. Si si, sono proprio come te, adesso, cantiamo con le stesse corde vocali, le mie urla sono il tuo sospiro. C’è una sola aorta che trasporta il nostro sangue, adesso.
Release me, release me.
E poi così, per tre ore.
Fermarsi un attimo e pensare che anche questo è il senso della nostra esistenza.
Se smettiamo di emozionarci per una canzone, abbiamo fallito.
E allora non so bene cosa dire.
Che è stato infinito, liberatorio, che ha attorcigliato le budella, spappolato il cuore, soffocato la voce.
Grazie ragazzi.
Insegnerò anche a mio figlio, in qualche modo, a volervi bene.
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