26 mag 2010

Con il contributo di voi blogger

ho dato un incipit a una cosa che avevo in testa.
Ho inserito, in fila, tutte le parole che mi avete scritto su richiesta del mio precedente post.

Ecco qui


SPETETRF! Appena uscito dal portone di casa Achille pestò un brandello di cono gelato, ormai liquefatto e rammollito, abbandonato sul marciapiede. Il rumore sordo della cialda accompagnò un rivolo di liquido rosa che gli impiastricciò i sandali nuovi di zecca e l’unghia dell’alluce destro.
“Mi ci vuole un po’ di riposo”, pensò. “Sono tanto stanco, stanco, cazzo come sono stanco. Ed è anche lunedì. Lunedìmerda, lunedìmerda, lunedìmerda”. Era l’unico pensiero a cui la sua mente riusciva a dare un senso in quel momento: lunedìmerda. Prese il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, si chinò a pulire il gelato dal dito e lo rigettò veloce in mezzo alla strada. Avrebbe preferito rimanere arrotolato sul divano per il resto della settimana, senza dover pensare a quell’inutile progetto per la sostenibilità ambientale dell’Ingegner Castoni, senza dover uscire di casa, buttare la spazzatura, poi domare il traffico, camminare, guidare, salire le scale del palazzo fino al terzo piano, salutare i colleghi, sorridere. Solo sigarette, ventilatore a velocità 2, dormire dormire dormire, coca-cola ghiacciata. E poi lui, prediletto compagno degli ultimi giorni: il dvd della terza stagione di Lost. “Il resto può andare a fare in culo”, pensava Achille mentre camminava verso l’auto parcheggiata due traverse più avanti. Accese la terza sigaretta del mattino, dopo quella sulla tazza del water e quella in cucina durante il caffelatte. Era un vero piacere per Achille sentire la bocca impastarsi di fumo, gustare quel sapore di tabacco che conosceva ormai da quando era un adolescente. Era un piacere profondo, che riusciva a non dare mai per scontato. Come gli diceva sempre Agnese, “fumare è apotropaico, Achi. Tiene lontani gli spiriti maligni, io non smetterò mai”. Gli arrivò una fitta taglientissima alla bocca dello stomaco.
Agnese.
Un tappeto di fiori, una poesia improvvisata, il senso di ogni perché.
Un abisso di nulla, anche. Agnese terrore, Agnese splendore. Agnese, che ogni giorno imparava una parola nuova dal dizionario che poi ripeteva allo sfinimento per non dimenticarla più.
Agnese, invadente dolore perseverante.


Il sole era appena spuntato e già emanava un caldo torrido e claustrofobico; dall’asfalto l’odore di catrame sciolto entrava dritto nelle piccole narici di Achille. Era sudato sulla fronte, i piedi strascicati e pesanti, poi Agnese che si presentava dentro al cervello così, senza dire nulla. “Che stronza”. Un verme dentro a una mela. “Stronza Agnese, stronza”.
Svoltò alla seconda traversa, scorse subito il muso della sua auto nera. Bastò una manciata di secondi per notare che sotto il tergicristallo penzolava un foglio. Inconfondibile, doppio strato bianco e giallo. “Vigilidelcazzo Vigilidelcazzo Vigilidelcazzo. E’ proprio lunedì. Lunedìmerda.”. Achille l’aveva parcheggiata lì il venerdì sera precedente, alticcio, di ritorno dall’ennesimo giro perlustrativo sotto casa di Agnese. Si era accorto di essere leggermente fuori dagli spazi e che così aveva invaso di un paio di centimetri l’entrata di un vecchio portone inutilizzato. Ma era stanco, gli occhi non reggevano più lo sforzo di rimanere aperti, aveva girato la chiave e spento il motore, sperando che almeno durante il week end non passasse qualche vigile. Era anche Agosto, insomma. Achille prese la multa tra le mani, senza guardare l’importo. “Adesso faccio il sovversivo, la straccio e mi ci pulisco le infradito, stronza di una multa. Agnese, amore mio, faccio l’iconoclasta, guardami. Io la odio questa società del cazzo, queste regole del cazzo, queste multe del cazzo. Io Agnese non so se ho mai capito davvero cosa voglia dire iconoclasta, ma era primavera e il tuo vocabolario aveva deciso che era quella la parola del giorno, me lo ricordo Agnese, amore mio. Ci eravamo svegliati da poco, avevi la maglietta rossa, quella con le fragole, e la prima cosa che avevi fatto era stata aprire il tuo vocabolario distrutto e scarabocchiato. “Iconoclasta” dicevi, e mi guardavi e abbiamo fatto l’amore, Agnese. Agnese, stronza, guarda come mi sono ridotto, sono l’ultimo degli idioti adesso, l’ultimo dei peggiori quaquaraqua. Trentaquattro anni e ti penso come fossi la password per ogni ragionamento che faccio, Agnese”.
Achille si guardò intorno, la strada era deserta. Si sedette sul lato opposto della strada, la multa in mano, lo sguardo fisso sull’auto. La caviglia destra iniziò a pulsare, ricordandogli che da quattro giorni non metteva la pomata prescritta dal medico. “Burp opaflexamina. L’unico medicinale con il nome onomatopeico di un rigurgito d’aria” pensò Achille massaggiandosi l’arto. Se l’era slogato dieci giorni prima mentre cercava di trattenere Agnese, stringendole forte l’avambraccio, sotto casa sua. “Mi fai male Achi, smettila. Lasciami stare, ti prego”. E si era divincolata talmente all’improvviso e con uno strattone così secco che lui aveva perso l’equilibrio, sbattendo la spalla contro il cassonetto della spazzatura e incrociando malamente i piedi uno sull’altro. “Che fame di amore mi hai lasciato, Agnese? Che fame di tutto senza di te. Che non riesco più a far nulla, guardare nulla, sentire nulla. Agnese, maledetta dea del mio cazzo triste, che anche la voce di Perry Farrell o Faber o Nina Simone è proibita alle mie orecchie se non sei tu a farmela ascoltare.”
Erano appena le otto e ad Achille sembrava già notte. Senza alcuna voglia di lasciare il marciapiede, senza alcuna motivazione ad alzare le sue gambe lunghe, con Agnese nelle tempie, con ancora la multa in mano e la caviglia all’aria, si diresse al bar di Alfredo pochi passi più avanti.


Il bar di Alfredo era frequentato dai soliti cinque o sei pensionati della zona, che d’inverno si posizionavano nello stanzino adiacente al wc, passando intere giornate a parlare di nulla, di buche nell’asfalto, di Franco che era morto mentre portava a spasso il cane in bicicletta, di calcio e rigori mancati, di Nazareno che aveva perso la testa per la cassiera della Snai. Ma il momento più bello ed atteso era quando i pochi clienti della giornata usufruivano del bagno. E allora eccoli i commenti danzare, ecco piroettare stoccate e giudizi, sguardi sulle gambe delle signorine che spuntavano dai cappotti, occhiate furenti alle incipienti calvizie dei giovani. E così il caffè diventava più buono, le chiacchiere più belle e il matrimonio che durava da 40 anni sembrava più facile da affrontare alla sera, una volta tornati a casa. D’estate invece li vedevi spuntare prestissimo, come per magia, quasi in contemporanea all’arrivo di Alfredo, vecchio pure lui. “La mia è una vita di sfiga e di sfida”, diceva sempre ai suoi affezionati clienti mattinieri, che spesso lo aiutavano a posizionare le sedie blu sbiadite all’esterno del locale, tutte in fila, con lo schienale sdrucito appoggiato al muro del palazzo. Di sfighe in effetti Arturo ne aveva avute parecchie nella vita, dall’amore al lavoro, dalla salute ai soldi: un groviglio di scelte sbagliate, destino beffardo, incontri e persone da evitare.
Ed era anche per questo motivo che Achille gli voleva così bene, ad Arturo.
(to be continued...)

14 commenti:

Cannibal Kid ha detto...

bell'esperimento
ho appena dato il mio contributo :)

Arcureo ha detto...

Sembra quasi uno stream of consciousness... ;-)

Chica ha detto...

mitico Calzino!! Mitico!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!..questo si che è rendere un blog interattivamente interessante!!!

'O VOJO FA' PUR'IOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO......ma sarei capace??? sigh!!!:(

Martina ha detto...

Sei fenomenale ed hai pure inserito la parte della caviglia slogata!! Troppo ganzo!

eugenia ha detto...

brava. no, di più.

biondatinta ha detto...

semplicemente magnificooooo!!!! bravissima!!!

Greis ha detto...

Bellissima sta cosa!
Bravissima calzino...BRAVA VERAMENTE!
Ora nel mio blog proverò a fare una roba simile, ma più semplice...
Farò postare dei racconti bucati ai miei lettori bacati ed io ci inserirò delle parole a caso...
- Come dici?
- Troppo facile!

EEEEEEEEhhhhhhhhh!
;-)

riccardo uccheddu ha detto...

Dice bene Arcureo: qui si va sul joyciano!
GRAZIE, Calzì!
(Sempre più biscardiano, il sottoscritto).
Besos!

Anita Damianto ha detto...

Yeah!

Gary Coopo ha detto...

a te il tenero giacomo ti fa un baffo

giardigno65 ha detto...

complimenti !

Calzino ha detto...

Arcureo: lo prendo come un complimento, và!

Chica: ma grazie cara, mi fai commuovere!!

Martina, Ambrosi, Bionda: grazie ;)

Grace: vai, vai.. bello!

Queen ha detto...

sei bravissimissima :) mi piace!

la Volpe ha detto...

wow, sono curioso di sapere dove vada a finire

c'è un certo non so che in questo racconto :)